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lunedì 20 gennaio 2014

L'INAIL si può far restituire dal datore di lavoro quello che ha pagato?


L'INAIL è un ente assicurativo.

Nel caso in cui abbia risarcito una danno, può farsi rimborsare dal datore di lavoro se esiste una responsabilità di quest'ultimo ai sensi della legge penale.
Se invece esiste solo una responsabilità civile, quello che ha pagato non è rimborsabile.
In questo senso è chiara la sentenza n. 117/2012 del Tribunale di Foggia, sezione lavoro.
Il lavoratore che riceve un risarcimento dall'INAIL, non è però limitato da questo.
Qualora infatti il suo danno sia maggiore potrà agire contro il datore di lavoro responsabile civilmente, per la differenza.
Dati gli importi liquidati normalmente dall'INAIL questo caso è molto comune.

venerdì 17 gennaio 2014

Se un uomo è ridotto allo stato vegetativo spetta il danno morale?


C'è chi ha sostenuto che il danno morale, in caso di grave infortunio sul lavoro (e non solo), spetti solo se il danneggiato abbia un'effettivo dolore psichico, una differenza psichica rilevabile.
E' il caso ad esempio di chi sia rimasto mutilato e soffra per questa sua condizione.
Su questa linea si è sostenuto che se un danneggiato è ridotto allo stato vegetativo è incapace di provare dolore ed emozioni e quindi non abbia, lui, un danno morale da sofferenza psichica.
La Cassazione con la sentenza 1716 del 7 febbraio 2012, ha statuito che: "Il danno morale non deve configurarsi soltanto come riparazione delle sofferenze psichiche ma anche come lesione della dignità personale, particolarmente evidente quando un padre di famiglia venga ridotto allo stato vegetativo e così perda ogni legame con la vita, compresi i vincoli affettivi nell'ambito della comunità familiare, tutelata dagli artt. 2, 29 e 30 Cost. Sarebbe iniquo riconoscere il diritto soggettivo al risarcimento di un danno non patrimoniale diverso dal pregiudizio alla salute e consistente in sofferenze morali, e negarlo quando queste sofferenze non siano neppure possibili a causa dello stato di non lucidità del danneggiato."
Io aggiungo che è in ogni caso risarcibile, calcolandola a parte, la sofferenza dei familiari ad esempio che sia causata dal sinistro.

mercoledì 8 gennaio 2014

Il datore del lavoro che ha delegato al responsabile della sicurezza è salvo?

Caratteristiche della delega al responsabile per la sicurezza.

Spesso si pensa che se il datore di lavoro ha delegato i suoi compiti al responsabile per la sicurezza possa dormire sogni tranquilli.
In realtà la situazione è ben diversa.
La Cassazione (IV sezione penale, sentenza 27819 del 28 aprile 2009) si è occupata del caso di un operaio investito sulla corsia d'emergenza mentre eseguiva lavori stradali.
Pur essendo vero che si può delegare ad altri (responsabili per la sicurezza) le incombenze di sorveglianza dell'applicazione delle norme antinfortunio, la delega deve essere data a una persona tecnicamente capace, in grado di svolgere il suo compito con competenza ed efficacia.
Se questa competenza non è dimostrata, la responsabilità ricade tutta sul datore di lavoro.
Il delegato deve inoltre avere i poteri decisionali e di intervento. Non avrebbe infatti senso dire che un soggetto è responsabile per la sicurezza se poi non ha il potere di dare i relativi ordini (e con le relative capacità).
Altra caratteristica richiesta dalla Corte è che il documento di delega deve essere chiaro, in modo tale che possa essere compreso, con tutte le nuove responsabilità del delegato. Tale incarico deve anche essere formalmente accettato dal destinatario.
In parole povere non servono "furbizie" da quattro soldi come deleghe fumose o addirittura magari mai conferite (pretendendo di aver dato deleghe verbali...).

giovedì 2 gennaio 2014

Se muore un artigiano che ci fa un lavoro a casa, siamo responsabili?


La Cassazione ha esaminato un caso del genere (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza 1 dicembre 2010, n. 42465).
Tizio doveva fare dei lavori di riparazione sul tetto ed aveva chiamato un artigiano. 
Aveva accettato che il muratore facesse tutto quello che occorreva, senza controllare la sua idoneità professionale, la sua iscrizione in albi artigiani, l'idoneità dei ponteggi e delle misure di sicurezza adottate.
Il lavoratore aveva montato un ponteggio senza parapetti di legge (solo tavole inchiodate alla meglio); lavorava inoltre senza corde di sostegno o altre misure.
Cadeva quindi e moriva.
Nel corso del processo penale il proprietario si era difeso dicendo che in caso di prestazione di lavoro autonoma (il muratore non era un dipendente ma un artigiano) il  lavoratore autonomo è l'unico responsabile della propria sicurezza.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata tale tesi, condannando definitivamente il proprietario dell'immobile. 
La tesi del proprietario era quella della giurisprudenza vecchia che non riteneva che esistesse responsabilità del proprietario qualora non vi fossero insidie nascoste. 
Questa giurisprudenza era stata superata dalla normativa del D.lvo 81/2008; prima ancora c'erano state sentenze sul D.lvo 626/1994 che avevano già stabilito il principio applicato nella sentenza odierna.
A mio parere la Magistratura dovrebbe esaminare con attenzione casi in cui il committente - proprietario del fabbricato non abbia (o abbia in modo molto ridotto) la possibilità di fare concretamente tutti i controlli di legge: sto pensando ad esempio alla novantenne sola che chiama un'impresa per far sistemare una infiltrazione d'acqua dal tetto...

Reciprocità: minor risarcimento per il cittadino straniero?

Torniamo sempre sul problema del valore della vita dello straniero, sui criteri per il risarcimento per la sua morte.
La c.d. legge Bossi Fini (n. 189 del 2002) stabilisce che: "allo straniero comunque presente nel territoriodelloStato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana  e «lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia dispongano diversamente.
Per il codice civile (art. 16 preleggi) lo straniero gode degli stessi diritti del cittadino italiano a condizione che anche il cittadino italiano nel suo paese goda degli stessi diritti.
Di conseguenza, a seconda della voce di danno cioè del particolare tipo di danno, potrebbero esserci condizioni diverse, potrebbe esserci risarcibilità o meno.
Non bisogna comunque dimenticare che, anche per la Bossi Fini, spettano comunque i diritti fonda,mentali della persona umana, tra cui vita e salute.
Importante è la distinzione tra straniero "comunque presente in Italia" e "straniero regolarmente soggiornante in Italia". Il primo caso si riferisce al lavoratore sprovvisto di permesso di soggiorno, il secondo a chi invece lo possiede o (come i rumeni, non ne ha bisogno, in quanto cittadino europeo).




La vita dello straniero morto sul lavoro vale di meno?

La domanda è provocatoria ma non troppo...
Se un lavoratore straniero muore per un incidente sul lavoro in Italia, può essere che gli aventi diritto al risarcimento risiedano in un paese straniero.
Il tribunale di Torino (sez. IV civile, sentenza 20.07.2010 n° 4932) ha stabilito che nel liquidare i danni il Giudice debba considerare il reale valore - potere d'acquisto della somma liquidata.
Questo valore può variare a seconda del paese dove vivono i percipienti.
Se i titolari al risarcimento vivono in Francia, il valore della somma liquidata sarà, ad esempio, corrispondente a quello in Italia. Sarà quindi giusto applicare gli stessi criteri italiani (ad esempio le tabelle del tribunale di Milano).
Se invece i parenti vivono in Nigeria, il valore d'acquisto sarà notevolmente diverso. E' immaginabile che con 400.000 € si possa comprare un appartamento se si è in Italia ma 4 o 5 immobili identici se si vive in Nigeria o Albania.
La conseguenza di questo è che le somme liquidate a parenti residenti all'estero di lavorato immigrati sono spesso molto inferiori.
Nello stesso senso ha deciso il Trib. Monza, Sez. IV, 20 novembre 2006.
Ovviamente il caso è ben diverso se i parenti - aventi diritto al risarcimento - vivono stabilmente e regolarmente in Italia. In questo caso saranno applicabili gli stessi criteri per gli italiani.
Questa giurisprudenza ha certamente una sua logicità ma apre tanti problemi. Si potrebbe ad esempio chiedere se i parenti residenti in Italia con regolare permesso di soggiorno intendano starci definitivamente o per sempre. Si potrebbe pensare che agli italiani che abbiano trasferito la residenza in Romania spetti di meno... 
Voi che ne pensate?