Prima di operazioni o altri interventi "invadenti" o potenzialmente pericolosi, i sanitari devono chiedere al paziente il consenso. Per avere la prova di questo si fa firmare una apposita dichiarazione. Si tratta del c.d. "consenso informato".
Il problema è che molte volte la dichiarazione è in "legalese" ed il paziente firma senza capirci assolutamente niente.
Tra l'altro si tratta anche di moduli spesso lungi e magari scritti con parti in piccolo.
La Cassazione (sentenza sez. 3 civile, n. 19220 del 20.8.2013) ha precisato che le modalità di informazione devono essere adeguate al livello culturale del paziente, "con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.
E' una sentenza molto significativa che di fatto distingue tra la dichiarazione che può essere fatta firmare ad un medico ad esempio e tra quella che deve essere fatta firmare ad una casalinga ottantenne.
C'è anche da tenere presente la condizione soggettiva del paziente, in quel particolare momento.
Facile dire che quanto sopra, nella prassi, passerà quasi inosservato: gli ospedali continueranno a far firmare dei moduli generici prestampati nei quali si continuerà a capire poco. Va anche ammesso che le soluzioni pratiche potrebbero essere complicate a meno che, magari, si registri un colloquio tra i medici ed il paziente nel quale vengano spiegati ad esempio i rischi dell'operazione. Questa soluzione renderebbe più facile dare una informativa specifica, con tutte le caratteristiche chieste dalla sentenza citata.
La Cassazione è arrivata a questa decisione sulla base della sentenza 438/2008 della Corte Costituzionale; per questa il consenso informato deve essere inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario. Se non è chiaro a quale trattamento si va incontro, si viola un diritto fondamentale della persona.
Ai sensi degli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario se non per un obbligo di legge (o ovviamente con il suo consenso).
Per fare un esempio, ricordiamo il TSO (trattamento sanitario obbligatorio) cui può essere sottoposto obbligatoriamente un infermo psichico qualora per le sue condizioni ci sia un pericolo concreto di vita.
Ai fini pratici quindi, qualora si verifichi un decesso sospetto, sarà sempre opportuno chiedere subito la copia integrale della cartella clinica, con tutta la documentazione firmata dal paziente.
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